Studio Cer Eures sui ritardi del sistema Giustizia.
Le imprese italiane spendono 3 miliardi all’anno per contenziosi lavorativi.
Lentezze ed inefficienze della giustizia ci costano 2,5 punti Pil, pari a circa 40 miliardi di euro. Tanto infatti recupereremmo se la nostra giustizia civile si allineasse sui tempi di quella tedesca. E gli effetti non si limiterebbero al Pil: una giustizia più rapida creerebbe anche 130mila posti di lavoro in più e circa mille euro all’anno di reddito pro-capite, con effetti positivi anche sull’erogazione di credito e la sicurezza percepita di imprese e famiglie.
È quanto emerge dallo studio Cer-Eures “Giustizia civile, imprese e territori”, presentato a Roma da Confesercenti nel corso del convegno “Giustizia, Sicurezza, Impresa”, che simula gli effetti positivi di cui beneficeremmo se i processi per imprese e cittadini durassero di meno.
Sicurezza e giustizia sono due variabili che possono condizionare fortemente le nostre imprese. Una giustizia che non funziona, o che funziona male, può pesare molto di più della crisi economica. A causa di inefficienze e di ritardi, ogni anno le imprese italiane spendono 3 miliardi di euro di costi legali ed amministrativi solo per i contenziosi lavorativi, un vero e proprio salasso per la nostra economia e per le tasche degli imprenditori.
I risultati dello studio.
L’efficienza della nostra giustizia civile appare ancora lontana dagli standard degli altri Paesi europei. In media, in Italia, i tempi per arrivare ad una sentenza nelle procedure civili raggiungono i 991 giorni: più del doppio delle medie registrate in Spagna (510 giorni), Germania (429 giorni) e Francia (395 giorni). Il grado di efficienza della giustizia civile presenta inoltre profonde differenze sul territorio nazionale. A livello regionale, la differenza fra Amministrazione più efficiente e meno efficiente si avvicina a 1.300 giorni, mentre a livello provinciale, tale differenza sfiora i 6.000 giorni.
La lentezza della giustizia amministrativa è uno dei fattori che maggiormente penalizza la competitività dell’economia italiana. Meno efficiente è la giustizia, più è difficile l’accesso al credito, peggiore è il funzionamento dei mercati, minori sono gli investimenti – anche quelli provenienti dall’estero, per i quali il ‘pantano percepito’ della giustizia italiana è uno dei principali freni.
Ad essere svantaggiate sono soprattutto le imprese di minori dimensioni, particolarmente esposte agli effetti negativi di una giustizia inefficiente. La lunghezza dei procedimenti civili aumenta infatti il costo richiesto per far rispettare i contratti e per difendere i diritti di proprietà. Studi di Banca d’Italia indicano che se la lunghezza dei processi civili si riducesse della metà, le imprese più piccole riuscirebbero ad aumentare il numero medio di occupati di circa il 10%. Le imprese più piccole sono penalizzate anche attraverso il canale creditizio: le banche sono infatti più propense a erogare finanziamenti se la giustizia è in grado di garantire una maggiore protezione del proprio credito. Nelle Province dove il sistema giudiziario è più efficiente vi è minore razionamento del credito e l’accesso delle piccole imprese ai finanziamenti bancari è più agevole.
Accelerare la riforma della giustizia civile è dunque centrale per le prospettive di crescita dell’Italia.
La giustizia italiana è rallentata da un “tasso di litigiosità” molto alto: in un anno si aprono 4 procedimenti ogni 100 abitanti, il 35% in più rispetto alla media degli altri paesi dell’OCSE. Il tasso di litigiosità, a sua volta, è legato ad una normativa di peggiore qualità, ad una maggiore corruzione e a una minore certezza del diritto, con un alto grado di imprevedibilità delle sentenze. L’eccesso di domanda di servizi giudiziari si scontra con un’organizzazione degli uffici e una distribuzione dei carichi di lavoro inefficiente. Un problema dovuto a un basso livello di specializzazione delle funzioni, alla lenta informatizzazione dei processi e ad una strutturazione territoriale ineguale. Tutti punti oggetto di riforme che stanno producendo importanti risultati. Uno, ad esempio, è quello dei fallimenti: la nuova disciplina rappresenta un progresso soprattutto per i piccoli imprenditori, in particolare per tutti coloro per cui il fallimento è stato un marchio di infamia che ha impedito il proseguimento dell’attività. Tuttavia il passo complessivo del cambiamento è ancora lento, ed anche i nuovi strumenti pensati per snellire le procedure si stanno ingolfando.
È il caso del Tribunale delle imprese, innovazione particolarmente utile, ma che dà preoccupanti segni di saturazione. Nel 2016, il numero dei procedimenti in corso (ossia non ancora definiti) era aumentato del 20% rispetto al 2015 e del 72% rispetto al 2013. Il tempo medio per arrivare a una sentenza è salito nel 2016 a 970 giorni, contro gli 870 giorni del 2015 e i 776 giorni del 2014. La nuova istituzione stenta ad assorbire l’aumento della domanda, con tempi di risoluzione che si sono avvicinati a quelli ordinari.
Al rallentamento del Tribunale delle imprese si aggiunge, oltretutto, un progressivo peggioramento del quadro dei contenziosi lavorativi, ormai diventati sempre più spesso una regola al momento della cessazione del rapporto di lavoro soprattutto qui in Puglia.
Infatti, le imprese del nostro territorio non agiscono in via preventiva, già al momento dell’assunzione, con strumenti idonei per evitare o quantomeno, contenere un contenzioso lavoristico. A tal riguardo va ricordato l’istituto della “Certificazione dei Contratti di Lavoro” che sebbene esista da oltre 13 anni, rimane ad oggi pressoché sconosciuto a molti e purtroppo molto poco utilizzato.
Inoltre, la conciliazione presso gli ispettorati territoriali del lavoro o nelle sedi sindacali, può essere un altro strumento utile a disposizione dell’impresa, anche se la via del ricorso al Tribunale rimane sempre la più gettonata.
Oggi un contenzioso per licenziamento si chiude nei grandi tribunali in media entro due/tre anni per un giudizio di primo grado. Nei piccoli tribunali, invece, i tempi si allungano – anche 4 anni in primo grado – con il risultato di accumulare sempre più arretrati. I datori di lavoro nel caso di soccombenza, si ritrovano sempre più spesso a dover versare cifre cospicue, che rischiano di mettere in crisi l’attività di impresa: come abbiamo visto, la spesa complessiva delle imprese per le cause di lavoro si aggira sui 3 miliardi di euro l’anno.
Il quadro della giustizia del lavoro è ulteriormente complicato dal fenomeno della contrattazione pirata, che ha portato ad una crescente diffusione di illegalità e abusi di diritto.
Le proposte.
Per contribuire a rendere più efficiente il rapporto tra giustizia ed imprese, Confesercenti propone dunque un doppio intervento, mirato a ridurre gli abusi di diritto creati dal dumping contrattuale e a snellire i procedimenti per i contenziosi lavorativi. Contro i contratti pirata, è necessario assegnare per via legislativa al CNEL il potere di certificare la rappresentatività delle organizzazioni sindacali e datoriali, mentre l’Ispettorato Nazionale del Lavoro deve avere il potere di sanzionare i datori di lavoro che non applicano i CCNL sottoscritti dalle organizzazioni più rappresentative. Per velocizzare i contenziosi lavorativi, invece è opportuno prevedere una specializzazione ulteriore del giudice del lavoro, con una divisione netta tra giudici che si occupano di contenzioso giuslavoristico e quelli invece dedicati al contenzioso previdenziale. Una misura che eviterebbe ai giudici di lavoro che devono gestire il contenzioso di essere bloccati da numerose e difficili cause previdenziali. E che potrebbe essere rafforzata dall’introduzione dell‘ arbitrato obbligatorio per il contenzioso previdenziale presso l’Ispettorato del lavoro o Commissioni speciali delle Università.
Per quanto riguarda in particolare la realtà esistente nella provincia Barletta Andria Trani, sulla scorta dei dati prodotti dal Cer Eures, anche qui i numeri si rifanno in proporzione a quelli sopra rilevati.
Un contenzioso previdenziale e giuslavoristico sempre in continuo aumento, nonché cause civili sempre più lunghe con notevole aggravio dei costi nei confronti degli imprenditori.
Detto ciò, si auspicherebbe che gli imprenditori utilizzino sempre più spesso, in maniera preventiva, strumenti deflattivi dei contenziosi. Tale appello è rivolto anche agli Enti Pubblici che troppe volte mettono in condizioni le aziende o le attività commerciali, di adire il Tribunale per questioni che possono tranquillamente essere risolte in via amministrativa.
Avv. Vincenzo PAPPOLLA
Responsabile Ufficio Legale Confesercenti BAT