FIESA: pubblicato il D. Lgs sulle “pratiche commerciali sleali” nei rapporti tra imprese nella filiera agro alimentare

Confesercenti provinciale BAT comunica che è stato pubblicato il D. Lgs sulle pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella Filiera agro alimentare.
Nel dare seguito a quanto già anticipato sul portale FIESA, è stato pubblicato in Suppl. Ordinario 41 alla GU 285 del 30-11-21 il Decreto Legislativo n. 198, recante disposizioni per l’attuazione della Direttiva (UE) 2019/633, in tema di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella Filiera agro alimentare, nonché per l’applicazione dei principi e criteri direttivi di cui all’art. 7 della Legge n. 53/2021 (Delegazione Europea 2020), in materia di commercializzazione dei prodotti agricoli e alimentari.
Il provvedimento delegato, in vigore a decorrere dal 15 dicembre 2021 p.v., mira a introdurre un livello minimo di tutela per gli Operatori del Settore agroalimentare, nell’ambito dei rapporti commerciali instaurati nella relativa Filiera, vietando le pratiche sleali indipendentemente dai rispettivi fatturati degli stessi contraenti.
A tal proposito, è appena il caso di ricordare che il nuovo Decreto Legislativo approvato dal Governo non si limita ad elencare le pratiche commerciali sleali, non consentite poiché illegittime, ma prevede anche una lista di condotte potenzialmente legittime che, tuttavia, saranno autorizzate unicamente qualora risultino essere state concordate in termini chiari ed univoci al momento della conclusione dell’accordo di fornitura dei prodotti agricoli ed alimentari tra le Parti.
Pertanto, come già a suo tempo auspicato al riguardo dalla nostra Associazione, anche in sede di audizione parlamentare, le norme appena adottate dovrebbero arginare l’insorgere di ogni eventuale posizione dominante nell’ambito di detti rapporti commerciali e prevenire in tal modo l’imposizione unilaterale, ai Produttori della Filiera agroalimentare in questione, di condizioni contrattuali inique ed eccessivamente gravose, come ad esempio la cessione di prodotti ad un prezzo inferiore rispetto ai costi di produzione (c.d. “vendita sottocosto”), con evidenti ricadute anche nel mercato della distribuzione, dove il ricorso al sottocosto costituisce un forte elemento di concorrenza sleale tra formule distributive, con un effetto di “cannibalizzazione” verso le PMI.
A tal fine, non è casuale che il Decreto Legislativo stesso abbia individuato espressamente nel Dipartimento dell’ICQRF (Ispettorato Centrale per la tutela della Qualità e Repressione Frodi dei prodotti agroalimentari) presso il MIPAAF l’Autorità nazionale di contrasto ad hoc, deputata in quanto tale all’esercizio dell’accertamento delle eventuali violazioni delle disposizioni ivi previste, previe apposite denunzie a cura dei soggetti interessati o delle organizzazioni coinvolte, nonché all’applicazione delle relative sanzioni. Ciò dovrebbe prospettare margini operativi anche per le Associazioni di categoria.
Per quanto attiene in primo luogo all’ambito applicativo specifico delle nuove disposizioni, l’art. 1 chiarisce tra l’altro che detta disciplina mira tra l’altro a razionalizzare e potenziare il quadro giuridico vigente “nella direzione della maggiore tutela dei fornitori e degli operatori della filiera agricola e alimentare rispetto alle suddette pratiche sleali”, con particolare riferimento alle cessioni di prodotti agroalimentari eseguite dai fornitori (es. Agricoltori e Produttori) che siano stabiliti nel territorio nazionale, indipendentemente dal fatturato dei fornitori stessi e dei rispettivi acquirenti (es. Strutture GDO), non applicandosi pertanto alle compravendite direttamente concluse con consumatori finali.
Per quanto riguarda l’elenco delle pratiche commerciali sleali non ammesse nelle relazioni commerciali tra operatori economici, ivi inclusi i contratti di cessione, l’art. 4 stabilisce tra l’altro quanto segue:
– nei casi di consegna pattuita su base periodica, è vietato all’acquirente di prodotti agricoli e alimentari deperibili versare il corrispettivo dopo oltre trenta giorni (sessanta se non deperibili) dal termine del periodo di consegna convenuto in cui le consegne sono state effettuate, che in ogni caso non può essere superiore a un mese, oppure dopo oltre trenta giorni (sessanta se non deperibili) dalla data in cui è stabilito l’importo da corrispondere per il periodo di consegna in questione, a seconda di quale delle due date sia successiva;
– nei casi di consegna pattuita su base non periodica, è parimenti vietato all’acquirente di prodotti agroalimentari deperibili versare il corrispettivo dopo oltre trenta giorni (sessanta se non deperibili) dalla data di consegna oppure dopo oltre trenta giorni (sessanta se non deperibili) dalla data in cui è stabilito l’importo da corrispondere, a seconda di quale delle due date sia successiva;
– è vietato allo stesso acquirente annullare ordini di prodotti agricoli e alimentari deperibili con un preavviso inferiore a 30 giorni, salvo restando che il MIPAAF, con successivo Regolamento da adottare entro il 15 marzo 2022, individuerà eventuali fattispecie e settori in cui le Parti di un contratto di cessione possano stabilire termini di preavviso al di sotto di un mese;
– è nondimeno vietato, sia all’acquirente che al fornitore, modificare unilateralmente le condizioni di un contratto di cessione di prodotti agroalimentari relative alla frequenza, al metodo, al luogo, ai tempi o al volume della fornitura o della consegna dei prodotti, alle norme di qualità, ai termini di pagamento o ai prezzi, oppure concernenti la prestazione di servizi accessori rispetto alla cessione dei prodotti;
– è vietato infine all’acquirente inserire clausole contrattuali che obblighino il fornitore a farsi carico dei costi per il deterioramento o la perdita di prodotti agricoli e alimentari che si verifichino presso i locali dell’acquirente, o comunque dopo che tali prodotti siano stati consegnati, purché tale deterioramento o perdita non siano stati causati da negligenza o colpa del fornitore stesso.
Contestualmente, lo stesso art. 4 vieta all’acquirente, salvo autorizzarlo in caso di precedenti intese in tal senso tra le Parti risultanti in termini chiari ed univoci nel contratto di cessione o nell’accordo quadro o in altro accordo successivo, di restituire al fornitore prodotti rimasti invenduti, senza corrispondere alcun pagamento per i prodotti stessi o per il loro smaltimento.

A tal riguardo, si ricorda che la norma in commento, salvo anzidetti espliciti ed inequivoci accordi intercorsi tra i contraenti in tale direzione, vieta all’acquirente di chiedere al fornitore:
– un pagamento come condizione per l’immagazzinamento, l’esposizione, l’inserimento in listino dei suoi prodotti, o per la messa in commercio degli stessi;
– di farsi carico, in tutto o in parte, del costo degli sconti sui prodotti venduti dall’acquirente come parte di una promozione, a meno che, prima di una promozione avviata dall’acquirente, quest’ultimo ne specifichi il periodo e indichi la quantità prevista dei prodotti agricoli e alimentari da ordinare a prezzo scontato;
– di farsi parimenti carico dei costi della pubblicità, effettuata dall’acquirente, dei prodotti agricoli e alimentari; – di sostenere le spese per il marketing dei prodotti agricoli e alimentari effettuata dall’acquirente;
– di affrontare i costi del personale incaricato di organizzare gli spazi destinati alla vendita dei prodotti del fornitore.

Per quanto riguarda poi l’elenco delle altre pratiche commerciali sleali non autorizzate, senza alcuna eccezione di sorta, l’art. 5 vieta espressamente:
a) l’acquisto di prodotti agricoli e alimentari attraverso il ricorso a gare e aste elettroniche a doppio ribasso;
b) l’imposizione di condizioni contrattuali eccessivamente gravose per il venditore, ivi compresa quella di vendere prodotti agricoli e alimentari a prezzi al di sotto dei costi di produzione;
c) l’omissione, nella stipula di un contratto che abbia ad oggetto la cessione di prodotti agricoli e alimentari, di anche una delle condizioni richieste dell’articolo 168, paragrafo 4 del regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013;
d) l’imposizione, diretta o indiretta, di condizioni di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose;
e) l’applicazione di condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti;
f) il subordinare la conclusione, l’esecuzione dei contratti e la continuità e regolarità delle medesime relazioni commerciali alla esecuzione di prestazioni da parte dei contraenti che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l’oggetto degli uni e delle altre;
g) il conseguimento di indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto delle relazioni commerciali;
h) l’adozione di ogni ulteriore condotta commerciale sleale che risulti tale anche tenendo conto del complesso delle relazioni commerciali che caratterizzano le condizioni di approvvigionamento;
i) l’imposizione, a carico di una parte, di servizi e prestazioni accessorie rispetto all’oggetto principale della fornitura, anche qualora questi siano forniti da soggetti terzi, senza alcuna connessione oggettiva, diretta e logica con la cessione del prodotto oggetto del contratto;
j) l’esclusione dell’applicazione di interessi di mora a danno del creditore o delle spese di recupero dei crediti;
k) la previsione nel contratto di una clausola che obbligatoriamente imponga al fornitore, successivamente alla consegna dei prodotti, un termine minimo prima di poter emettere la fattura, fatto salvo il caso di consegna dei prodotti in più quote nello stesso mese, nel qual caso la fattura potrà essere emessa solo successivamente all’ultima consegna del mese;
l) l’imposizione di un trasferimento ingiustificato e sproporzionato del rischio economico da una parte alla sua controparte;
m) l’imposizione all’acquirente, da parte del fornitore, di prodotti con date di scadenza troppo brevi rispetto alla vita residua del prodotto stesso, stabilita contrattualmente;
n) l’imposizione all’acquirente, da parte del fornitore, di vincoli contrattuali per il mantenimento di un determinato assortimento, inteso come l’insieme dei beni che vengono posti in vendita da un operatore commerciale per soddisfare le esigenze dei suoi clienti;
o) l’imposizione all’acquirente, da parte del fornitore, dell’inserimento di prodotti nuovi nell’assortimento;
p) l’imposizione all’acquirente, da parte del fornitore, di posizioni privilegiate di determinati prodotti nello scaffale o nell’esercizio commerciale.
Per quanto attiene inoltre alla disciplina delle sopra menzionate “vendite sottocosto” di prodotti agricoli ed alimentari freschi e deperibili, il successivo art. 7 prevede anzitutto che tale tipologia di cessione, salve le procedure e le sanzioni di cui al combinato disposto tra il vigente D. Lgs “Bersani” n. 114/1998 e ss. ed il DPR n. 218/2001 e ss., è consentita nel solo caso di prodotto invenduto a rischio di deperibilità oppure nell’ipotesi di operazioni commerciali programmate e concordate con il fornitore in forma scritta.
A tal proposito, si chiarisce che è comunque vietato imporre al fornitore (es. Agricoltore o Produttore) condizioni contrattuali tali da far ricadere sullo stesso le conseguenze economiche derivanti, anche indirettamente, dal deperimento o dalla perdita dei prodotti agroalimentari venduti “sottocosto”, qualora tali circostanze sfavorevoli non risultino imputabili a sua negligenza.
Nell’ipotesi di violazione della sopra illustrata disposizione in tema di “vendite sottocosto”, lo stesso art. 7 prevede che il prezzo già stabilito dalle Parti sarà sostituito:
– de jure, dal prezzo risultante dalle fatture d’acquisto, ai sensi dell’art. 339 Codice civile; – oppure, qualora sia impossibile un riscontro con dette fatture, dal prezzo calcolato sulla base dei c.d. “costi medi di produzione”, così come rilevati dall’ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare);
– oppure ancora, in mancanza di quest’ultimo dato, dal prezzo medio praticato nel mercato di riferimento per prodotti similari ai beni oggetto del contratto di cessione “sottocosto”.
Per quanto riguarda la questione interpretativa, relativa alla deperibilità dei prodotti agro alimentari, si reputano in genere “deperibili” tutti gli alimenti freschi, ricchi d’acqua e di altri elementi nutritivi quali carboidrati, zuccheri, fibre etc., da conservare accuratamente in quanto tali e consumare prima possibile, anche dopo la cottura, essendo indubbiamente annoverabili come è noto in questa platea il latte crudo, le uova, la verdura, la frutta, i crostacei, la carne ed il pesce, mentre risultano essere classificabili come “semi-deperibili” tutti gli altri alimenti, che abbiano subìto una lavorazione implicante la modifica di alcune componenti chimico-fisiche, rientrando in tale novero i formaggi, i salumi, il latte pastorizzato, le confetture e le salse di vario tipo.
Orbene, per quanto concerne ad esempio il pane, ai fini della corretta configurazione e classificazione in una di tali categorie di deperibilità, occorrerebbe distinguere come è noto tra:
– il prodotto acquistabile presso i Supermercati della GDO, contenente in genere conservanti e suscettibile di durare in quanto tale anche per settimane; e il prodotto acquistabile sempre nella GDO di pane surgelato e sottoposto a completamento di cottura, non classificabile come pane fresco; da un lato
– ed il prodotto pane fresco acquistabile presso i Forni e le rivendite autorizzate, anche nella GDO, che perde le sue caratteristiche di freschezza sin dal giorno successivo qualora sia tenuto a contatto con l’aria, dall’altro lato.
Alla luce di ciò, per mera logica il pane fresco dovrà reputarsi alimento deperibile, poiché privo di conservanti e destinato ad essere insidiato dalle c.d. muffe nell’arco di pochi giorni. Ovviamente lo stesso pane fresco, essendo caratterizzato dai carboidrati più che da proteine, è meno assoggettato a deperimento rispetto a cibi più proteici come carne o pesce, dunque può essere lasciato “fuori frigo”.
Mentre, sotto il profilo giuridico, la definizione di pane fresco è rinvenibile nel testo della Legge 248/2006, art 4, che riporterebbe il prodotto pane nell’alveo dei prodotti alimentari freschi a cui dovrebbe applicarsi la normativa appena approvata, come del resto ulteriormente chiarito dall’art. 2 del DM 1° ottobre 2018, n. 131, che chiarisce “ E’ denominato «fresco» il pane preparato secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento o surgelazione, ad eccezione del rallentamento del processo di lievitazione, privo di additivi conservanti e di altri trattamenti aventi effetto conservante.
Per quanto concerne infine gli effetti delle nuove disposizioni di cui al D. Lgs 198/2021 sulle previgenti norme di legge, in materia di pratiche commerciali sleali, si ricorda soltanto che in base all’art. 12 si intenderanno abrogati, a partire dal 15 dicembre p.v., l’art. 62 DL “Concorrenza” n. 1/2012 ss. (Disciplina delle relazioni commerciali in tema di cessione dei prodotti agroalimentari), l’art. 36 comma 6-bis DL n. 179/2012 ss. (Crescita), il Decreto MIPAAF 19 ottobre 2012, n. 199 (Regolamento attuativo dell’art. 62 DL n. 1/2012) e l’art. 10-quater, limitatamente ai soli commi 1, 3, 4 e 5, DL “Rilancio dei settori agricoli in crisi” n. 27/2019 ss. (Disciplina dei rapporti commerciali nell’ambito delle filiere agroalimentari).
A tal proposito, per quanto attiene al necessario periodo transitorio, relativo al graduale ingresso in efficacia delle sopra descritte disposizioni legislative, l’art. 14 prevede che le nuove norme si applichino ai contratti di cessione, di prodotti agricoli ed alimentari, conclusi a decorrere dal 15 dicembre 2021 p.v., data di entrata in vigore del medesimo Decreto delegato, mentre i contratti già in corso di esecuzione alla stessa data dovranno essere adeguati qualora occorra entro il 15 giugno 2022.

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