“E’ crollo nascite nuove imprese, evitare desertificazione. Servono regole per tutelare pluralismo distribuzione”
Il rallentamento dell’inflazione e il taglio del cuneo fiscale sostengono la tenuta dei consumi: nel 2024, secondo le previsioni Confesercenti, la spesa media annuale delle famiglie dovrebbe attestarsi su 34.527 euro l’anno, con un aumento di +1.302 euro rispetto al 2023. Un salto però ancora ‘amplificato’ dalla crescita dei prezzi, che pure continua anche se più lentamente: in termini reali, infatti, la spesa media annuale delle famiglie prevista per il 2024 si riduce a 29.126 euro. Si tratta dunque di un risultato in lieve crescita (+288 euro in termini reali, circa il +1%) sul 2023, ma ancora distante dai numeri prepandemia: -1.604 euro (il -5,2%) di spesa annua in meno per famiglia rispetto al 2019.
E’ quanto emerge dal dossier Confesercenti e Cer “Commercio e consumi. Tra crescita nominale e decrescita reale” presentato a Roma.
Ha aperto i lavori della conferenza stampa la presidente di Confesercenti Patrizia De Luise. Hanno illustrato i dati il direttore della ricerca CER Stefano Fantacone insieme al Segretario Generale Confesercenti Mauro Bussoni.
L’inflazione ha frenato la ripresa. Prosegue dunque, anche se più lentamente di quanto auspicato, il recupero dei consumi delle famiglie. Dopo lo stop imposto dal Covid, i consumi degli italiani sono tornati a crescere, ma la ripresa è stata fortemente condizionata – in particolare negli anni 2022 e 2023 – dall’alto tasso di inflazione, che ha ridotto fortemente il potere d’acquisto delle famiglie rispetto a cinque anni fa: 100 euro del 2023 valgono 86,4 euro del 2019.
La spesa sui territori. Il consolidamento della spesa delle famiglie dovrebbe interessare quasi tutte le regioni, anche se con ritmi diversi. La crescita stimata è più forte nel Nord, in particolare nel Trentino-Alto Adige/Südtirol (+1,6%), Emilia-Romagna (+1,4%), Lombardia e Valle d’Aosta (+1,2%), Veneto (+1,1%), con il Friuli-Venezia Giulia che si allineerebbe alla crescita nazionale (+1%). Sostanzialmente ferma, invece, la spesa delle famiglie in Umbria e in Calabria. Nelle restanti regioni, invece, la crescita della spesa è sotto la media nazionale.
L’effetto inflazione sulle voci di spesa. L’impatto del rapido aumento dei prezzi emerge con chiarezza dall’analisi dell’andamento in termini nominali e reali delle singole voci di spesa tra il 2019 ed il 2023 (ultimo anno disponibile per questo livello di dettaglio). Il gap più elevato si registra per i consumi Alimentari. In termini nominali, infatti, il budget delle famiglie destinato ai prodotti alimentari è aumentato del 12,9% tra il 2019 ed il 2023 (+720 euro l’anno), ma in valori reali c’è una contrazione dell’8% (-449 euro): un gap di 1.169 euro.
La voce dove è più evidente la natura esclusivamente monetaria degli aumenti di spesa è però quella delle Abitazioni, colpita direttamente dagli aumenti delle tariffe energetiche. Nominalmente i dati registrano infatti un aumento del 13% (+1.409 euro sul 2019), ma il valore reale della spesa è diminuito di 358 euro (-3,3%). Per la sola componente “Elettricità, gas e altri combustibili”, lo scostamento è fra un aumento nominale di spesa del 70,2% (+1272 euro) e una sostanziale invarianza del consumo reale (-0,7%).
Crollano le nascite di nuove imprese. La frenata della ripresa dei consumi ha amplificato anche le difficoltà della distribuzione commerciale, e delle imprese del commercio di vicinato in particolare. Tra concorrenza dei nuovi canali di vendita e aumenti dei costi di attività, fare impresa nel commercio è diventato sempre meno attraente, come testimonia il crollo di iscrizioni del comparto: nel 2023 si sono iscritte ai registri camerali 23.574 nuove imprese del commercio, il 20% in meno rispetto al 2019.
Nella ristorazione, il calo è del 21,7%. Un vero e proprio crollo delle nascite di imprese, che – non sostituite – continuano a ridursi: tra il 2019 e il 2023 le attività di commercio al dettaglio diminuiscono del 7,4%, per un totale di 56 mila attività in meno. Le attività della ristorazione, invece si riducono del 2%: 6 mila e 700 in meno.
Quote di mercato. Le imprese che operano su piccole superfici, sottoposte alla “tenaglia” Grande distribuzione-eCommerce rischiano di diventare sempre più marginali: in questi 5 anni hanno perso circa 1 punto percentuale nel largo consumo e quasi 4 nel non alimentare in termini di quote di mercato. Nel non alimentare il loro peso già da tempo è molto basso e nel 2023 è di poco superiore al 10%, un livello che potremmo dire “di sopravvivenza”. La quota dell’eCommerce, invece, è quasi raddoppiata in cinque anni, passando dal 17 a 32,7 miliardi di euro.
“I consumi contribuiscono per oltre il 58% alla formazione del nostro prodotto interno lordo: un dato – sottolinea Confesercenti – che conferma il legame strettissimo tra la crescita della spesa delle famiglie e quella della nostra economia. Soprattutto in una fase come quella attuale, in cui fattori di perturbazione di origine globale rallentano il contributo di esportazioni e investimenti, lo sviluppo economico del nostro Paese non può prescindere dalla rivitalizzazione dei consumi, che deve dunque essere messa al centro dell’agenda economica del Paese.
Allo stesso tempo, è necessario riflettere sullo stato e le prospettive della distribuzione commerciale. Il tasso di concorrenza tra i diversi canali distributivi è costantemente cresciuto negli ultimi venti anni, accelerando ulteriormente dalla pandemia ad oggi. Anche in questo caso, si osserva un forte condizionamento dall’esterno: il commercio, prima dominato dalle micro, piccole e medie imprese ‘del territorio’, ha vissuto una forte alterazione degli equilibri prima con l’arrivo delle grandi catene della GDO, e successivamente, con l’affermazione delle piattaforme internazionali di eCommerce, che hanno potuto godere di condizioni che garantiscono loro un vantaggio competitivo sugli altri canali, a partire dal fisco.
Evitare la desertificazione delle attività commerciali è interesse di tutti. Per raggiungere questo obiettivo, a nostro avviso, è necessario riequilibrare le sperequazioni concorrenziali – soprattutto sul lato fiscale – che esistono tra i diversi canali. La web tax – un provvedimento appena partito, di cui monitoreremo l’efficacia – va in questa direzione.
Occorre, però, anche alleggerire il peso che il fisco ha attualmente sulle piccole attività. La nostra proposta è istituire una fiscalità di vantaggio per i negozi di vicinato con un fatturato inferiore ai 400mila euro l’anno, un provvedimento che l’associazione ritiene essenziale per contrastare il fenomeno della desertificazione commerciale che sta interessando sempre più grandi e piccoli centri urbani italiani, con un grave impatto non solo sul settore ma anche sull’accessibilità sul territorio dei servizi per i cittadini.
Per guidare davvero il cambiamento, però, dobbiamo rivedere anche l’approccio della politica economica alla distribuzione commerciale. Un comparto che, negli ultimi anni, è stato solo e costantemente deregolamentato.
Un eccesso che ha accelerato la crisi della rete degli esercizi di vicinato che, forse, erano troppi quando sono stati approvati i diversi provvedimenti di liberalizzazione; ma che ora rischiano di essere davvero troppo pochi: un serio pericolo per la tenuta socioeconomica delle nostre città. Dobbiamo cambiare passo: il comparto non può rimanere, di fatto, senza governo. Servono regole – nuove, al passo con i tempi – per tutelare il pluralismo della distribuzione e la libertà di fare impresa”.
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