Sospensione dei protesti per emergenza Coronavirus

SCARICA IL DOCUMENTO

Il D.L. n. 9 del 2.3.2020 ha stabilito la sospensione dei termini di scadenza (ricadenti nel periodo dal 22 febbraio al 31 marzo) relativi a vaglia cambiari, cambiali e ogni altro titolo di credito avente forza esecutiva (cfr. art. 10 co. 5).

La norma si inserisce nell’ambito delle “misure non solo di contrasto alla diffusione del virus COVID-19, ma anche di contenimento degli effetti negativi che esso sta producendo sul tessuto socio-economico nazionale”.

Per l’individuazione dei soggetti nei cui riguardi opera la sospensione, il D.L. ha fatto rinvio al comma 4”, ovvero “ai soggetti che alla data di entrata in vigore del detto decreto erano residenti, avevano sede operativa o esercitavano la propria attività lavorativa, produttiva o funzione nei comuni di cui all’allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020”, all’epoca unica “zona rossa” nella quale si era ritenuto necessario adottare misure di contenimento del virus COVID-19.

Lo stesso D.L., con il chiaro intento di estendere la sospensione dei termini a tutte le zone alle quali progressivamente venivano estese le misure emergenziali, ha previsto la possibilità di una rimodulazione dell’ambito applicativo della norma prevedendo l’aggiornamento dell’elenco dei Comuni di cui all’allegato 1 o l’individuazione di “ulteriori comuni” con diverso provvedimento (cfr. art. 10 co. 18).

Successivamente, il DPCM dell’8.3.2020 ha “ritenuto necessario procedere a una rimodulazione delle aree” (cfr. il preambolo) nonché individuare ulteriori misure, stabilendo la cessazione degli effetti del DPCM 1° marzo 2020 (cfr. art.5 co. 3) come conseguenza della sua integrale sostituzione.

Il DPCM del 9.3.2020 ha poi esteso all’intero territorio nazionale le misure previste dall’art. 1 del DPCM 8.3.2020.

1

Il tumultuoso ed inevitabile ricorso da parte del governo alla decretazione d’urgenza per far fronte all’emergenza CORONAVIRUS ha ingenerato dubbi interpretativi con riferimento all’estensione dei termini di scadenza di cui al citato art.10 co. 5 del D.L. n.9/2020, a tutto il territorio nazionale.

Tuttavia, l’analisi del contesto (e dunque della ratio) delle previsioni, unitamente all’applicazione dei consueti canoni ermeneutici, depone per una interpretazione nel senso della continuità delle misure, i cui destinatari sono da intendersi ora estesi all’intero territorio nazionale.

Ed invero, come sopra evidenziato, già il D.L. n. 9/2020 aveva previsto la possibilità di una rimodulazione delle aree territoriali di riferimento per l’applicazione delle misure, in caso di “aggiornamento dell’elenco dei comuni di cui all’allegato 1”, “ovvero di individuazione di ulteriori comuni con diverso provvedimento” (cfr. art. 10 c. 18).

Con il D.L. 2.3.2020 n.9 il Governo, da un lato ha fatto rinvio ad un testo allora esistente (allegato 1 al DPCM del 1°.3.2020), dall’altro ne ha comunque chiarito l’estensione con eventuali aggiornamenti dello stesso allegato 1, o con differenti provvedimenti di individuazione di altri territori ai quali fossero estese le misure di contenimento del contagio allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus.

È evidente la necessità di individuare progressivamente, con il diffondersi dell’epidemia, le aree geografiche beneficiarie delle misure di natura sanitaria ed economica.

In quest’ottica, il DPCM dell’8.3.2020, ha rimodulato le aree e individuato ulteriori misure, con conseguente superamento dei DDPPCCMM 1°.3.2020 e 4.3.2020, che, pertanto sono stati espressamente abrogati (cfr. art. 5 co. 3^ del DPCM 8.3.2020).

Con il successivo DPCM 9.3.2020 il Governo ha “ritenuto necessario estendere all’intero territorio nazionale le misure previste dall’art. 1 del DPCM 8 marzo 2020”.

Esigenze di chiarezza ed uniformità hanno portato all’abrogazione esplicita dei precedenti DDPPCCMM 3 e 4 marzo 2020, ma è evidente che i DDPPCCMM dell’8 e del 9.3.2020 si pongono in linea di continuità e di progressiva individuazione di aree e misure di contenimento,

2

in coerenza con l’aggravarsi della situazione (non a caso, entrambi i DDPPCCMM richiamano, nei loro preamboli, “l’evolversi della situazione epidemiologica, il carattere particolarmente diffusivo dell’epidemia e l’incremento dei casi sul territorio nazionale”).

Da una interpretazione sistematica e dalla successione nel tempo dei decreti esaminati, emerge con evidenza che le “aree” di maggior rischio sono state individuate: inizialmente, negli 11 Comuni ritenuti “zona rossa” di cui all’allegato 1 del DPCM 1.3.2020, successivamente, con il DPCM 8 marzo 2020 in tutti i Comuni della Regione Lombardia e nei Comuni delle Province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, ed infine, con il DPCM 9 marzo 2020 nell’intero territorio nazionale, e quindi in tutti i Comuni d’Italia, passando da una individuazione su base comunale (adeguata all’iniziale situazione, in cui erano presenti isolati contesti territoriali critici limitati ai territori di alcuni Comuni), ad una su base provinciale e regionale, ed infine nazionale.

Ciò non toglie che si tratti, in ogni caso e con chiaro nesso di consequenzialità territoriale, dell’individuazione delle “aree critiche” nelle quali le misure previste devono essere applicate.

Anche le misure di contenimento individuate nell’art. 1 del DPCM 8.3.2020 (e subito dopo estese all’intero territorio nazionale) sono più ampie e restrittive di quelle previste nel DPCM 1.3.2020.

Si è in presenza, di un “più” che ha assorbito un “meno” (paradossalmente, se fosse rimasto in vigore il DPCM 1.3.2020, nelle aree originariamente considerate “zona rossa” – ovvero i Comuni di cui all’allegato 1 – sarebbero rimaste in vigore norme meno restrittive).

Alla luce delle suddette considerazioni, le norme di cui ai DDPPCCMM 8 e 9 marzo 2020 hanno integrato (sostituendo per assorbimento) l’elenco delle aree di cui all’allegato 1 al DPCM 1.3.2020, con conseguente estensione a tutto il territorio nazionale dei termini di scadenza di cui al co.5 dell’art. 10 del D.L. n. 9/2020.

In sostanza si è verificata l’“individuazione di ulteriori comuni con diverso provvedimento”, prevista dal co. 18 dell’art. 10 dello stesso D.L. 9/2020; chiaramente, vista la progressione dell’emergenza, l’individuazione di territori più ampi (dapprima province e regioni, in seguito l’intero territorio nazionale) costituisce, al tempo stesso, individuazione anche dei comuni in essi compresi.

3

Né il D.L. n.11/2020, dettato unicamente per introdurre “misure straordinarie e urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria”, né il successivo D.L. n.18/2020 che all’art. 83 detta “Nuove misure urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenerne gli effetti in materia di giustizia civile, penale, tributaria e militare”, (che ha abrogato il precedente D.L. 11/2020), hanno modificato o abrogato i commi 5 e 18 del D.L. n.9/2020. I suddetti Decreti legge 11/2020 e 18/2020 hanno affrontato prevalentemente questioni giudiziarie procedurali e problematiche afferenti il rispetto delle indicazioni igienico-sanitarie fornite dai competenti organi.

Il contenuto dei commi 5 e 18 del D.L. n.9/2020 è pertanto rimasto invariato.

In conclusione, si propende per l’interpretazione estensiva della disciplina in esame, in ragione:

– del dato letterale del co.18 art.10 D.L. n.9/2020 che contiene l’espresso rinvio ad un testo allora esistente (allegato 1 al DPCM del 1°. 3.2020) e la contestuale estensione, non solo all’eventuale “aggiornamento dell’elenco dei comuni di cui all’allegato 1”, ma altresì all’eventuale “individuazione di ulteriori comuni con diverso provvedimento”, così come successivamente si è verificato a seguito dell’abrogazione del DPCM 1° marzo 2020 e la sua sostituzione con i DDPPCCMM 8 e 9 marzo 2020;

– della ratio sottesa al suddetto co.5 e al connesso co.18 del medesimo art.10 del D.L. 9/2020, nonché ai successivi più volte richiamati interventi legislativi, quali, segnatamente, il DPCM 9 marzo 2020, laddove estende le misure previste dall’art. 1 del DPCM 8.3.2020 all’intero territorio nazionale;

– dell’interpretazione sistematica della decretazione d’urgenza cui ha fatto ricorso il governo sia sotto il profilo sanitario che di sostegno economico alle famiglie, ai lavoratori, alle imprese;

– di una interpretazione aderente al dettato costituzionale e, segnatamente, all’art. 3 della Cost.; la differente opzione interpretativa (tendente a ritenere che l’avvenuta estensione della c.d. “zona rossa” all’intero territorio nazionale non sarebbe stata accompagnata dall’estensione anche delle parallele misure economiche contenute nel D.L. n.9/2020), determinerebbe, infatti, una irrazionale disparità di trattamento tra cittadini.

4

Per contro, ritenere, sulla base di una interpretazione meramente letterale, che il co. 5 dell’art. 10 del D.L. n.9/2020, stante il mancato aggiornamento dell’allegato 1 al DPCM 1° marzo 2020, ovvero la mancata emanazione di altro provvedimento ad hoc contenente l’individuazione di ulteriori Comuni, sia rimasto in vigore solo per gli 11 Comuni indicati nel predetto allegato 1, contrasta:

– con la ratio che ha ispirato, con lungimiranza, il disposto di cui al co. 18 art. 10 D.L. n.9/2020, diretto a beneficiare famiglie, lavoratori e imprese che, a causa del diffondersi dell’epidemia, soggiacciono a profonde e significative limitazioni o impedimenti nello svolgimento dell’attività lavorativa, in un contesto di restrizioni;

– con il già richiamato principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.

Si evidenzia come i tre DPCM 1°, 8 e 9 marzo 2020 siano stati animati dal medesimo “scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus”, e proprio in quest’ottica si colloca “l’aggiornamento” dell’elenco di cui all’allegato 1 o in mancanza, “l’individuazione di ulteriori comuni con diverso provvedimento”, di cui al co. 18 art. 10 D.L. n. 9/2020.

Né si può negare che i successivi DDPPCCMM 8 e 9 marzo 2020 siano provvedimenti con i quali sono state “individuate” altre aree territoriali “a rischio sanitario”.

Il D.L. n.9/2020, dettato sul presupposto di emanare “ulteriori disposizioni per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, adottando misure non solo di contrasto alla diffusione del predetto virus ma anche di contenimento degli effetti negativi che esso sta producendo sul tessuto socio-economico nazionale”, deve ritenersi logicamente coordinato con le previsioni di cui al co.18 art. 10 D.L. n.9/2020.

In un contesto di decretazione d’urgenza, il Governo, considerato l’evolversi della situazione epidemiologica e il suo carattere particolarmente diffusivo, nel D.L. n.9/2020, non ha stilato un nuovo allegato, ma ha fatto rinvio all’elenco di Comuni (prima “zona rossa”) allegato al DPCM 1° marzo 2020, espressamente dettato per contrastare e contenere il diffondersi del virus, poi sostituito dai successivi DDPPCCMM 8 e 9 marzo 2020.

5

Sotto altro profilo, le misure di favore afferenti la sospensione dei termini di scadenza relativi a vaglia cambiari, a cambiali e ad ogni altro titolo di credito o atto avente forza esecutiva, finora né abrogate né modificate, stante la loro specificità, si collocano in modo idoneo nel vigente D.L. n.9/2020, in quanto va evidenziato come la gestione del servizio svolto per il protesto di cambiali e vaglia cambiari, coinvolga, di fatto, un elevato numero di persone, esposte perciò a rischio contagio.

Né, con altra interpretazione, è ragionevole arrivare a ritenere che, per effetto del venir meno dell’allegato 1 al DPCM del 1° marzo 2020, ai Comuni ivi contemplati non si applichino più le misure economiche contenute nel D.L. n. 9/2020.

Così argomentando, se il DPCM dell’8.3.2020, abrogando il DPCM del 1.3.2020, avesse fatto venir meno gli effetti di un decreto legge, saremmo in presenza di un intervento di sostanziale abrogazione di una fonte legislativa, ad opera di un decreto di natura regolamentare; il Presidente del Consiglio dei Ministri avrebbe, attraverso un proprio decreto, nella sostanza, sterilizzato un intervento di urgenza stabilito con decreto legge.

L’interpretazione proposta, che estende i termini di scadenza di cui al citato art.10 co. 5 del D.L. n.9/2020 a tutto il territorio nazionale, è in linea con quella seguita da altri Enti Pubblici.

Si rammenta che l’art. 10 c. 5 del D.L. n. 9/2020 ha rinviato ai “soggetti di cui al comma 4”, e che il comma 4 prevede che “Per i soggetti che alla data di entrata in vigore del presente decreto sono residenti, hanno sede operativa o esercitano la propria attività lavorativa, produttiva o funzione nei comuni di cui all’allegato 1 al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1° marzo 2020, il decorso dei termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, nonchè dei termini per gli adempimenti contrattuali è sospeso dal 22 febbraio 2020 fino al 31 marzo 2020 e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione”.

Né risulta che i suddetti comma 4 e comma 5 condividano la medesima problematica interpretativa, a seguito dell’abrogazione del DPCM del 1° marzo 2020.

Ebbene, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, con circolare n. 2179 dell’11.3.2020 con riferimento all’Articolo 10 – del D.L. n.9/2020, richiamando il co. 18 del medesimo articolo, espressamente afferma che le misure di cui all’art. 10 co. 4 del D.L. n. 9/2020 “inizialmente

6

limitate ai soli comuni di cui all’allegato 1 del DPCM 1° marzo 2020, sono state estese per effetto del D.P.C.M. 8 marzo 2020 a tutti gli altri comuni della Regione Lombardia e ai comuni delle Province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia a decorrere dal 9 marzo fino al 31 marzo, nonché a tutto il territorio nazionale dal 10 marzo al 31 marzo 2020, in forza del D.P.C.M. 9 marzo 2020”.

Condividi ora questo articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli correlati

Sentenza del Consiglio di Stato – Non è sufficiente la pubblicazione nell’Albo pretorio dell’istanza del titolare interessato all’estensione della durata della concessione fino al 31.12.2033 per produrre gli effetti dell’art. 3, comma 2, della “legge sulla concorrenza 2021”.

La sentenza del Consiglio di Stato n. 10131, pubblicata ieri, 16.12.2024, “smonta” l’assunto del TAR Puglia (sent. n. 607, del 16.5 scorso), che sembrava consentire

Leggi Tutto »